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Nella campagna senese, “il cielo in una stanza”

Forse nessuna regione è stracolma, quanto la Toscana, di borghi e monumenti medievali; centri storici intatti e vivaci, chiese e castelli molto ben conservati. Luoghi presi d’assalto da appassionati d’arte e turisti, attratti dal fascino di un tempo “sospeso”. Ma a volte è più l’“assenza” a creare la magia, rispetto alla materia; l’invisibile, più che il tangibile. La memoria, l’immaginazione; una sensazione, leggera, che bussa sottopelle. Questo è il cocktail di emozioni che si prova arrivando all’Abbazia di San Galgano, isolata nel quasi sconosciuto borgo di Chiusdino, a una trentina di km da Siena. Il nome del luogo, Montesiepi, ci trascina in un poema cavalleresco. Al primo impatto, è già un nodo alla gola; un misto di meraviglia e timore, al cospetto di un colosso che, seppur in rovina, non ha perso un grammo del suo fascino. Quello che ci si trova di fronte è un imponente complesso cistercense, costruito nel Duecento nel luogo in cui San Galgano visse la sua esistenza ascetica, per poi morirvi nel 1181. I materiali sono quelli della zona: pietra, travertino e mattoni. Si riescono a riconoscere alcuni monconi del monastero, tra cui un tratto del chiostro. Ma la cosa incredibile è che alla chiesa manca completamente il tetto; sembra che il cielo piombi secco sul pavimento della navata, ricoperta dall’erba. I pilastri danno l’impressione di fuoriuscire direttamente dal terreno, come alberi di roccia; e si spingono verso l’alto, in uno spazio infinito, creando un gioco di luci e ombre quasi soprannaturale.  

Non è un caso che all’Abbazia i misteri si sprechino. A cominciare dal più importante, legato alla spada nella roccia; a conficcarcela fu proprio San Galgano, con l’intento di trasformarla in una croce. Una sorta di leggenda di Re Artù al contrario, dove sacro e profano continuano a mescolarsi. Perché la spada è ancora qui, con il manico che spunta fuori dal suo masso, come 800 anni fa. Il cimelio è custodito nella Cappella circolare di Montesiepi, protetto da una teca. In bella vista rimane anche una coppia di mani mummificate, “simpatico” avvertimento per i visitatori; sono quelle di un monaco invidioso, che un tempo cercò di rubare la spada. Il furto non andò a buon fine: l’arma non si mosse di un centimetro e lui rischiò di finire sbranato da un lupo. Del resto, la spada doveva far gola a molti. E non solo quella. Ciò che resta dell’Abbazia tradisce una straordinaria ricchezza, architettonica e decorativa: la grande facciata e i suoi tre portali; le lunghe fiancate, con le finestre scolpite; l’abside, finemente decorata, nucleo embrionale di tutta la struttura. Il complesso visse la sua età dell’oro fino al Quattrocento, ingrassato da costanti donazioni e privilegi, sotto l’ala protettrice di Papi, Vescovi e Imperatori. Ma non fu la peste o la carestia a condannarlo a un destino ingrato, bensì l’avidità dei suoi monaci; arrivarono persino a smontarne il tetto, in piombo, per poi venderlo al miglior offerente. Ma 100 anni fa ecco che accade un altro miracolo: iniziano i lavori di restauro. Un gigantesco intervento conservativo, che ha permesso al complesso di rinascere, trasformandosi più volte anche in un set cinematografico; tra le pellicole interessate, “Il paziente inglese” di Anthony Minghella, “Il riposo del guerriero” di Roger Vadim e “La ragazza dei lillà” di Flavio Mogherini.

Non possiamo che lasciarvi con un invito: farvi rapire da questo luogo incredibile, chiudendo gli occhi, in silenzio.. e respirarne ogni vibrazione.

Interno dell'Abbazia di San Galgano
Interno dell'Abbazia di San Galgano
Interno dell'Abbazia di San Galgano

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Sara Perin - Guida Turistica
Sara Perin
Guida Turistica
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